L'inizio

La storia del Barbarigo inizia nell’agosto del 1919, quando il Vescovo di Padova, l’intraprendente mons. Luigi Pellizzo, decise di fondare in città un collegio- convitto che offrisse ai giovani una valida educazione religiosa, morale e civile. L’Istituto era destinato a “scuole ginnasiali, tecniche ed elementari interne e un reparto speciale per studenti delle scuole medie pubbliche”; la prima retta annua era di 800 lire, lo stipendio di un docente 1000 lire.

Venne dedicato al vescovo Gregorio Barbarigo che, durante la sua attività pastorale a Padova (1664-1697), aveva profuso grande impegno nell’istruzione ed educazione dei giovani. A lui infatti si deve, tra l’altro, la rifondazione del Seminario vescovile di Padova, divenuto celebre in Europa grazie alla varietà di materie insegnate (tra le altre, arabo, ebraico, persiano) e alla bilanciata integrazione tra modernità e tradizione.

Durante i primi anni di attività, sotto la guida di mons. Giovanni Brunello, il Collegio Barbarigo conservava regole e abitudini molto rigide, quasi militaresche, come la marcia attraverso la città. Il secondo rettore, mons. Giovanni Brotto, abrogò queste attività e introdusse, fin dagli anni Trenta, i viaggi di istruzione.

  • 1919 // Fondazione
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  • Primi anni
  • Anni Trenta
  • Seconda Guerra Mondiale
  • Barbarigo Resistente

STEMMA DELL’ISTITUTO BARBARIGO

Lo stemma del Collegio Vescovile Barbarigo è una libera interpretazione dello stemma dogale della famiglia Barbarigo: sono state conservate le figure, le barbe, il leone (che prende il posto dei tre originari), i colori dei campi, azzurro e argento (non evidenti nella foto recuperata). Nel campo inferiore è stata aggiunta la croce rossa in campo bianco, che rappresenta la città di Padova, e questo ha richiesto lo spostamento delle barbe nella parte superiore, tre a destra e tre a sinistra.

Perché le barbe? Per l’etimologia popolare, errata, “barba di (Ar)rigo”. In latino il cognome della famiglia fa Barbadicus, che nulla ha a che fare con (Ar)rigo.

Lo stemma dell’Istituto è attribuito al prof. Renzo Canella, insegnante di disegno al Barbarigo dal 1925 al 1955 e anche libero docente all’Università, autore di altre opere presenti in Istituto – la fontana del giardino e la Madonna del cortile, che richiama modelli trecenteschi – e in città.

Canella fu personalità poliedrica, docente e divulgatore, autore di diverse pubblicazioni a carattere tecnico e didattico; e anche ottimo violoncellista.

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Palazzo Genova

L’Istituto Barbarigo ha sede nell’antico palazzo Genova, costruito a inizio Cinquecento dalla famiglia genovese dei Passera. L’edificio si distingue per l’originale facciata a losanghe rosa e bianche, in pietra d’Asiago e trachite.

Altro elemento notevole è il giardino celato al suo interno: interamente circondato da un portico colonnato, realizzato tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, si caratterizza per aiuole con melograni, ulivi, oleandri, decine di palme e, con la fontana a mosaico centrale, si rivela un vero locus amoenus nel panorama cittadino.

Gli ultimi proprietari privati, i Sacchetto, ospitarono in una zona dell’edificio una scuola elementare e una comunale maschile, poi un collegio convitto. Nel 1914 il palazzo venne acquistato da mons. Luigi Pellizzo, e così, dopo aver ospitato il collegio convitto Egidio Forcellini e, in tempo di guerra, il Collegio Vescovile di Thiene, dal 1919 accoglie il Barbarigo.

Nel corso dei secoli l’interno di palazzo Genova ha subito varie modifiche da parte delle famiglie che vi abitarono, ma la facciata mantiene la sua autenticità, così come la scritta sopra il portone di ingresso, BONIS OMNIBUS PANDANA, ovvero “(porte) aperte a tutti i buoni”.

Mosaico raffigurante la Madonna con il Bambino, realizzato
nel 1954 e donato dagli studenti al rettore dell’epoca, mons. Zannoni.
Il mosaico è stato recentemente restaurato per volontà dell’Associazione ex allievi Barbarigo.

La madonna del giardino

Mosaico raffigurante la Madonna con il Bambino, realizzato nel 1954 e donato dagli studenti al rettore dell’epoca, mons. Zannoni. Il mosaico è stato recentemente restaurato per volontà dell’Associazione ex allievi Barbarigo.
Planimetria rilievo anni '80

Planimetria rilievo anni '80

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Barbarigo e resistenza

Durante la seconda guerra mondiale l’Istituto continuò le sue normali attività come meglio possibile, ma offrì anche rifugio a persone perseguitate dai nazifascisti.

Nel periodo della Resistenza la scuola divenne punto di riferimento per attività dei partigiani, convertendo alcuni spazi dell’Istituto in tipografia clandestina, magazzini di esplosivi, centri di informazione, “cospirazione” e produzione di documenti falsi.

Proprio a causa di queste attività alcuni professori vennero arrestati o furono costretti a vivere in clandestinità, mentre diversi studenti si unirono ai gruppi partigiani. Vanno ricordati i nomi di don Giovanni Nervo e don Giovanni Apolloni (incarcerato per attività “sovversive”); e degli studenti Benedetto De Besi e Guido Puchetti, uccisi nel settembre 1944 in un rastrellamento fascista.
Qui fu stampato l’opuscolo di Luigi Gui (poi “Padre Costituente”) intitolato “Uno qualunque: la politica del buon senso”.

Subito dopo la Liberazione, il Barbarigo conservò un ruolo di primo piano nel panorama della città ospitando il “Centro Assistenza, Comando di Tappa e Smistamento” dedicato all’assistenza di ex internati e reduci provenienti da Germania, Austria e Jugoslavia, arrivando nel maggio 1945 a dare ospitalità a 14.437 persone.

  • Barbarigo Resistente
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  • 1945
  • Dopoguerra
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Don Giovanni
Apolloni

Nato nel 1900 e laureato all’università di Padova, insegnante di matematica e fisica al Barbarigo dal 1928 al 1973, dopo l’8 settembre 1943 operava sui Colli Euganei, munito di scritte bilingui, in inglese e in italiano, per aiutare i prigionieri alleati. Nello stesso tempo cercò dapprima di mettersi in contatto con l’ex popolare Mario Saggin attivo nella Resistenza; poi entrò in relazione con l’ingegnere Otello Pighin, uno dei fondatori e dei capi della brigata “Silvio Trentin”.
Di giorno don Apolloni, con l’aiuto di don Francesco Frasson, amministratore del Barbarigo, ideava con Pighin le prime azioni dinamitarde in città, facendo di Padova almeno in quel periodo l’unico centro veneto percorso da una forma di terrorismo urbano: se non recava danni sostanziali, infliggeva tuttavia al nemico duri colpi sul piano psicologico. Di notte, con la collaborazione di don Giovanni Nervo, vicerettore dello stesso collegio, ciclostilava quanto il Saggin e i suoi compagni di lotta gli facevano avere per le brigate “Guido Negri”.

Pighin, che trovò rifugio al Barbarigo per una ventina di giorni, fu ucciso in via Rogati da Antonio Corradeschi della banda Carità. Don Apolloni, arrestato dai fascisti della stessa banda e imprigionato a palazzo Giusti a gennaio 1945, fu liberato solo in aprile. Dopo la Liberazione lavorò per la pacificazione in città, a tal punto da essere accusato dai partigiani di essere diventato protettore dei fascisti. “Fui il difensore dei fascisti perseguitati tutte le volte in cui mi accorsi che non la giustizia si voleva, ma la vendetta personale” testimoniò con decisione.

Due testimonianze raccolte dalla viva voce di don Apolloni:
“Sottoposto alla tortura con scariche elettriche per farmi confessare i nomi dei miei collaboratori, rimasi sempre muto. Mi ritrovai dopo pochi giorni con i capelli, che erano di un colore nero corvino, diventati improvvisamente bianchi”.

“Giunto ormai alle festività pasquali del 1945, mi fu chiesto – respirandosi ormai l’aria di una imminente liberazione – se volevo celebrare messa e confessare: oltre a diversi detenuti, si accostarono alla confessione anche alcune guardie a addirittura la figlia del maggiore Carità”.

Nel 1978 fu nominato canonico onorario della Cattedrale di Padova.

Guido Puchetti e
Benedetto de Besi

Tra gli alunni che si unirono alle forze partigiane, vanno ricordati Guido Puchetti e Benedetto de Besi. Benedetto de Besi, nato a Padova nel 1926, proveniva da una famiglia molto attiva nel territorio cittadino.

Il padre, infatti, fu tra i fondatori del Partito Popolare padovano, presidente della Società Anonima Egidio Forcelini e presidente della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo.
I due giovani si conobbero nella primavera del 1944, quando Benedetto era iscritto al liceo classico del Barbarigo.
Guido Puchetti, invece, vi aveva frequentato le scuole medie.
Spinti dall’educazione cristiana ricevuta e delusi dalla soppressione della libertà, i due si unirono, appena diciottenni, alla brigata “Luigi Pierobon”. Formata in prevalenza da patrioti giovanissimi, la brigata era dedita soprattutto ad attività di sabotaggio.

Trovarono la morte il 6 settembre 1944 a Piacenza d’Adige, mentre, con altri compagni, cercavano di sfuggire a un rastrellamento da parte delle truppe nazifasciste.
Entrambi riposano nella cripta dell’abbazia di Praglia, unici laici a ricevere questo onore.

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Il barbarigo protagonista della resistenza La toccante testimonianza di Mons. Nervo, allora vicedirettore, sull'accoglienza agli ex internati

Negli anni dell’occupazione nazifascista, 1943-45, il Collegio Barbarigo fu punto di riferimento per le forze della Resistenza a Padova, completamente all’insaputa del suo rettore mons. Brotto, grazie ai rapporti di collaborazione che il prof. Apolloni del Collegio manteneva con i partigiani.
Nella sua stanza al secondo piano si riunì molte volte il Comitato Regionale di Liberazione. Nella soffitta del Barbarigo rimase nascosto per un periodo di 20 giorni l’ing. Otello Pighin, che poi fu ucciso per un tradimento all’inizio di via Rogati. Per questo motivo, dopo la Liberazione, la via prese il nome di via Otello Pighin. Poi, non so per quali ragioni, ritornò all’antico nome di via Rogati.

Presso il Barbarigo c’era una radio trasmittente, nascosta in un tombino del cortile. Ne era a conoscenza soltanto il fedele portinaio Bordin. C’era una specie di ufficio stampa per riprodurre documenti da divulgare clandestinamente. Io ero responsabile di un servizio di assistenza a chi ne aveva bisogno: luoghi sicuri dove nascondersi, fornitura di pacchi di alimenti ai prigionieri politici di Palazzo Giusti in via San Francesco, fornitura di zucchero alle famiglie di detenuti politici con bambini piccoli che sottraemmo in quantità notevole dal deposito dei nazifascisti nei sotterranei del monastero di Santa Giustina, documenti di identità falsi, grazie a un pacco di carte di identità sottratte al Comune di Pianoro (Bologna) insieme con il timbro a secco.

Dopo il 25 aprile 1945, fino al 30 settembre, il Barbarigo visse una singolare esperienza come centro di accoglienza degli ex internati che tornavano dai campi di concentramento della Germania. Già il 27 e 28 aprile cominciavano ad arrivare a piedi dopo aver fatto migliaia di chilometri di strada

Bisogna tener presente che in tutta l’Alta Italia fino alla linea gotica, praticamente fino a Firenze, non esisteva più nessun mezzo di trasporto organizzato: treni e pullman erano stati distrutti dai bombardamenti.
Gli americani trasportavano sui camion gli ex internati fino a Bolzano, li deponevano presso la grande caserma della Croce Rossa e poi dovevano arrangiarsi per arrivare a casa. Il prof. Angelo Lorenzi, medico, poi senatore, che era stato membro attivo della Resistenza, insieme alla professoressa Maddalena Ferraro, che era una insegnante del collegio, pensarono che il Barbarigo, allora chiuso per la guerra, potesse essere il centro di accoglienza degli ex internati.
Credo che doverosamente l’abbiano chiesto al rettore mons. Brotto. Per lui, per la sua mentalità, il Barbarigo era un tempio, metterlo a disposizione degli altri sarebbe stata una profanazione. Di qui il rifiuto. Sottoponemmo la situazione al vice comandante regionale del Comitato di Liberazione, che mandò al vescovo il decreto di requisizione. Mons. Agostini, intelligentemente, non ne parlò con nessuno e venne personalmente ad aprire le porte del Barbarigo agli ex internati.

Il prof. Lorenzi ottenne da ditte di trasporti di Padova un certo numero di camion e dalla Siamic alcune delle poche autocorriere salvate dai bombardamenti angloamericani e organizzò un sistema continuativo di trasporti di ex internati da Bolzano a Padova. A Bolzano avevamo organizzato presso una famiglia padovana un piccolo deposito di generi alimentari e di conforto da dare agli ex internati prima di partire per Padova.

Al Barbarigo, orientati da mons. Francesco Dalla Zuanna, confluirono numerosi volontari, una ventina di stabili, per accogliere e sistemare gli ex internati.
Ci fu in quella occasione da parte della città e della diocesi una grande spontanea generosità per far giungere quello che era necessario in viveri e vestiti.

Una notte furono ospitate 2.500 persone.Ci giunsero carri di paglia, che distendemmo sotto i portici e nei corridoi delle scuole per farli dormire. Nei dormitori c’erano una trentina di letti con materasso, mentre le persone che arrivavano erano centinaia e centinaia. Una notte furono ospitate 2.500 persone. E anche quei pochi che avrebbero potuto dormire sul materasso preferivano dormire sulla paglia, perché non riuscivano più a dormire in un letto normale.

Le suore, che erano presenti perché normalmente facevano i servizi di cucina per il collegio, insieme con i volontari preparavano il cibo. Furono meravigliose. Una sera ripeterono per cinque volte il turno del refettorio che contava 150 posti. Anche il cibo arrivava con donazioni in grande quantità. Alle volte anche in modo singolare: una volta ci arrivò una manza, che un macellaio uccise e squartò nel cortiletto interno delle suore. Le suore fecero un lavoro enorme. La superiora, anziana, non ne resse il peso e verso l’autunno morì. Il rettore mons. Brotto si ritirò nella sua stanza al primo piano, osservava e taceva.Una volta ci arrivò una manza, che un macellaio uccise e squartò nel cortiletto interno delle suore.Certamente ne soffrì: forse era un mondo che non capiva. Io di tanto in tanto andavo a salutarlo e gli riferivo del nostro lavoro e dei casi che potevano dargli un po’ di conforto.

Ad esempio il caso di un giovane di Messina che avevamo raccolto con il pulmino sulla strada da Venezia a Padova. Aveva fatto 1.500 chilometri a piedi. Era così esausto che non riusciva neppure più a parlare.
Lo mettemmo a letto e cercammo di fargli riprendere forza col cibo e con generi di conforto. Un giorno gli dissi: lunedì mattina facciamo un convoglio di pullman e ti portiamo fino a Firenze, poi hai il treno e puoi arrivare a Messina. Mi prese la mano, mi guardò negli occhi e mi disse: “Prete! Mi dici la verità? Se no, io parto a piedi perché voglio vedere mia mamma”.

Mons. Brotto ascoltava e si commuoveva. Spero abbia potuto capire che il suo sacrificio non era stato inutile. Nel mese di luglio una mattina lo trovammo morto vicino al suo letto.
Passata l’estate il numero di ex internati diminuì, poi si estinse. Alla fine di settembre il centro di accoglienza ex internati si chiuse e il Barbarigo, con la riapertura delle scuole, ritornò alla sua funzione, dopo aver prestato alla città, alla diocesi, al paese un prezioso servizio per il quale finora forse nessuno gli ha detto grazie, se non il Signore che è stato aiutato, assistito, amato nelle sue membra sofferenti.
Una cosa singolare e meravigliosa è che un’attività così intensa e anche costosa, a quanto mi consta, non ha lasciato tracce di debiti. Forse inconsapevolmente abbiamo sperimentato concretamente che cos’è la Provvidenza.

mons. Giovanni Nervo

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Bisogna tener presente che in tutta l’Alta Italia fino alla linea gotica, praticamente fino a Firenze, non esisteva più nessun mezzo di trasporto organizzato: treni e pullman erano stati distrutti dai bombardamenti.
Gli americani trasportavano sui camion gli ex internati fino a Bolzano, li deponevano presso la grande caserma della Croce Rossa e poi dovevano arrangiarsi per arrivare a casa. Il prof. Angelo Lorenzi, medico, poi senatore, che era stato membro attivo della Resistenza, insieme alla professoressa Maddalena Ferraro, che era una insegnante del collegio, pensarono che il Barbarigo, allora chiuso per la guerra, potesse essere il centro di accoglienza degli ex internati.
Credo che doverosamente l’abbiano chiesto al rettore mons. Brotto. Per lui, per la sua mentalità, il Barbarigo era un tempio, metterlo a disposizione degli altri sarebbe stata una profanazione. Di qui il rifiuto. Sottoponemmo la situazione al vice comandante regionale del Comitato di Liberazione, che mandò al vescovo il decreto di requisizione. Mons. Agostini, intelligentemente, non ne parlò con nessuno e venne personalmente ad aprire le porte del Barbarigo agli ex internati.

Il prof. Lorenzi ottenne da ditte di trasporti di Padova un certo numero di camion e dalla Siamic alcune delle poche autocorriere salvate dai bombardamenti angloamericani e organizzò un sistema continuativo di trasporti di ex internati da Bolzano a Padova. A Bolzano avevamo organizzato presso una famiglia padovana un piccolo deposito di generi alimentari e di conforto da dare agli ex internati prima di partire per Padova.

Al Barbarigo, orientati da mons. Francesco Dalla Zuanna, confluirono numerosi volontari, una ventina di stabili, per accogliere e sistemare gli ex internati.
Ci fu in quella occasione da parte della città e della diocesi una grande spontanea generosità per far giungere quello che era necessario in viveri e vestiti.

Una notte furono ospitate 2.500 persone.Ci giunsero carri di paglia, che distendemmo sotto i portici e nei corridoi delle scuole per farli dormire. Nei dormitori c’erano una trentina di letti con materasso, mentre le persone che arrivavano erano centinaia e centinaia. Una notte furono ospitate 2.500 persone. E anche quei pochi che avrebbero potuto dormire sul materasso preferivano dormire sulla paglia, perché non riuscivano più a dormire in un letto normale.

Le suore, che erano presenti perché normalmente facevano i servizi di cucina per il collegio, insieme con i volontari preparavano il cibo. Furono meravigliose. Una sera ripeterono per cinque volte il turno del refettorio che contava 150 posti. Anche il cibo arrivava con donazioni in grande quantità. Alle volte anche in modo singolare: una volta ci arrivò una manza, che un macellaio uccise e squartò nel cortiletto interno delle suore. Le suore fecero un lavoro enorme. La superiora, anziana, non ne resse il peso e verso l’autunno morì. Il rettore mons. Brotto si ritirò nella sua stanza al primo piano, osservava e taceva.Una volta ci arrivò una manza, che un macellaio uccise e squartò nel cortiletto interno delle suore.Certamente ne soffrì: forse era un mondo che non capiva. Io di tanto in tanto andavo a salutarlo e gli riferivo del nostro lavoro e dei casi che potevano dargli un po’ di conforto.

Ad esempio il caso di un giovane di Messina che avevamo raccolto con il pulmino sulla strada da Venezia a Padova. Aveva fatto 1.500 chilometri a piedi. Era così esausto che non riusciva neppure più a parlare.
Lo mettemmo a letto e cercammo di fargli riprendere forza col cibo e con generi di conforto. Un giorno gli dissi: lunedì mattina facciamo un convoglio di pullman e ti portiamo fino a Firenze, poi hai il treno e puoi arrivare a Messina. Mi prese la mano, mi guardò negli occhi e mi disse: “Prete! Mi dici la verità? Se no, io parto a piedi perché voglio vedere mia mamma”.

Mons. Brotto ascoltava e si commuoveva. Spero abbia potuto capire che il suo sacrificio non era stato inutile. Nel mese di luglio una mattina lo trovammo morto vicino al suo letto.
Passata l’estate il numero di ex internati diminuì, poi si estinse. Alla fine di settembre il centro di accoglienza ex internati si chiuse e il Barbarigo, con la riapertura delle scuole, ritornò alla sua funzione, dopo aver prestato alla città, alla diocesi, al paese un prezioso servizio per il quale finora forse nessuno gli ha detto grazie, se non il Signore che è stato aiutato, assistito, amato nelle sue membra sofferenti.
Una cosa singolare e meravigliosa è che un’attività così intensa e anche costosa, a quanto mi consta, non ha lasciato tracce di debiti. Forse inconsapevolmente abbiamo sperimentato concretamente che cos’è la Provvidenza.

mons. Giovanni Nervo

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Anni cinquanta

Ricondurre a normalità le attività del Collegio interrotte durante il difficile periodo della guerra fu il primo impegno del nuovo rettore mons. Antonio Zannoni, proveniente dal Vescovile di Thiene, fin dall’autunno 1945.

Furono apportati numerosi cambiamenti strutturali e organizzativi, costruite nuove aule e un’aula magna e, soprattutto, l’attenzione fu focalizzata non solo nel convitto, ma principalmente nell’offerta didattica specifica del Barbarigo, arricchita con la nascita dell’Istituto Tecnico Commerciale (“Ragioneria”).

Gli anni Cinquanta rappresentano un periodo di forte espansione della scuola, che vede non solo un aumento numerico degli studenti, anche con una sezione staccata delle Medie all’Arcella, ma pure un incremento delle proposte extra-curriculari: attività sportive, volontariato, iniziative artistiche, la redazione di un settimanale per la città di Padova (L’Orologio) e iniziative di doposcuola.

  • Dopoguerra
  •  
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  • 1948 - 1954
  •  
  • Anni Sessanta/Settanta
Aula di Scienze
Aula di Scienze
Aula magna
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Prime tracce del giardino e della fontana nel cortile interno. Sulla sinistra, s’innalza sopra il refettorio l’ala voluta da mons. Zannoni per l’Istituto Tecnico Commerciale (e poi il Liceo Scientifico).
Prime tracce del giardino e della fontana nel cortile interno. Sulla sinistra, s’innalza sopra il refettorio l’ala voluta da mons. Zannoni per l’Istituto Tecnico Commerciale (e poi il Liceo Scientifico).
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Da collegio a "Scuole"

Negli anni Sessanta e Settanta, con i rettori Antonio Zannoni e Mario Mortin, l’offerta formativa fu ulteriormente ampliata con l’introduzione del Liceo Scientifico, dell’Istituto Tecnico per Geometri e dell’educazione musicale curata da don Floriano Riondato, che portò successivamente alla creazione della “Banda del Barbarigo”.

L’anno scolastico 1971-72 rappresentò un punto di svolta per la scuola, che iniziò ad ammettere tra i suoi studenti delle Superiori anche le ragazze. Una decina d’anni dopo le alunne arrivarono anche alle Medie. Si raggiunse un numero d’iscritti ben superiore al migliaio.

Negli anni ’80 venne introdotto l’insegnamento dell’informatica grazie alla dotazione di un elaboratore elettronico IBM 34.

A partire dal decennio successivo, sotto la guida di mons. Francesco Cesaro, l’Istituto si arricchì di numerose attività: rassegne musicali, la scuola di arpa, scambi con scuole straniere e la promozione delle attività di stage in azienda.

  • Anni Sessanta/Settanta
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  •  
  • Anni Ottanta/Novanta
  • Fine Anni Novanta
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1973
festa dell’Immacolata
alla presenza del Vescovo. Consegna del diploma di merito a una delle prime ragazze iscritte al Barbarigo, Emanuela Tommasini, allieva della IV ginnasio. E consegna del berretto goliardico a Gabriel Modi, diplomato al Liceo Scientifico.

Al cinema Teatro PIO X
la festa dell’Immacolata con la consegna dei cappelli goliardici da parte del Vescovo. La tradizione della cerimonia dell’Immacolata è durata fino agli anni Ottanta.

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Moda e modi prima e dopo il '68

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Anni Duemila

Il nuovo millennio porta il Barbarigo, con alla guida don Giancarlo Battistuzzi, a ulteriori esperienze di apertura e internazionalizzazione.

Attraverso la partecipazione a programmi quali “Erasmus plus”, “Socrates-Comenius” e “ELOS school (Europe as a Learning Environment in Schools)”, gli studenti vengono stimolati ad approfondire la conoscenza delle lingue, a sviluppare un pensiero critico e a migliorare la propria capacità di cooperare con gli altri. Il progetto “Crescita globale” orienta l’attività didattica verso la formazione personale degli allievi.

Dal 2009 l’Istituto è diretto da don Cesare Contarini. In questi anni il Barbarigo vede l’esperienza (breve) del Liceo Musicale, la nascita del GGB (Gruppo Giovani Barbarigo) e GRB (Gruppo Ragazzi Barbarigo), l’introduzione della “settimana corta” con il sabato libero, l’intensificarsi delle attività internazionali. L’Istituto accoglie e promuove numerose iniziative con realtà culturali del territorio che qui trovano casa.

Nel 2017-18 un importante intervento di manutenzione all’edificio e ristrutturazione dell’ala ovest (ex chiesa e aule sovrastanti) porta alla nascita del “Centro studi e ricerca Filippo Franceschi”.

  • Fine Anni Novanta
  •  
  • Anni Duemila
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  •  
  • 2019
Scambio di consegne tra il rettore Battistuzzi e il sucessore Contarini
Scambio di consegne tra il rettore Battistuzzi e il sucessore Contarini
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